Non è una moda estiva, e nemmeno un vino di mezzo. Il rosato, inteso nel suo senso più autentico, è figlio di un passato più profondo di quanto si creda. Prima che si affermassero le divisioni nette tra bianco e rosso, era prassi comune vinificare uve rosse con brevi macerazioni, ottenendo vini chiari, freschi, diretti. Non li si chiamava ancora rosati, ma il colore era già lì.
Oggi, in un mercato che spesso chiede stile prima che sostanza, il rosato di valore si riconosce proprio da questo: dal suo radicamento. Non tanto nella nostalgia, quanto in una continuità tecnica e culturale che attraversa i decenni.
Basta versare nel calice il Susucaru Rosato 2021 di Frank Cornelissen per cogliere questo legame. Nato sulle pendici dell’Etna, da vigne di Nerello Mascalese e altri autoctoni, è un vino che conserva l’essenziale: freschezza, mineralità e un profilo gustativo preciso. Non cerca scorciatoie. È un rosato che si lascia interpretare con calma, senza concessioni alla facilità.
Il confronto con la scuola francese, in questo senso, è utile. Il Côtes de Provence Rosé 2024 di Chateau Gigery incarna la visione più riconoscibile del rosato d’Oltralpe: colore tenue, naso floreale, equilibrio raffinato. È un vino di precisione, pensato per accompagnare con eleganza piatti leggeri e momenti convivali, ma capace di offrire molto anche in termini di profondità. Dove il Susucaru insiste sulla materia vulcanica e sul tratto rustico, il rosé provenzale lavora invece per sottrazione e armonia. Due visioni coerenti, distinte, che raccontano molto dei rispettivi territori.
In entrambe le interpretazioni, il rosato si mostra per quello che è sempre stato: un vino vero. Non un compromesso tra estremi, ma una categoria autonoma, con regole, stili e dignità proprie. Una forma espressiva che oggi torna centrale proprio perché riesce a unire storia e attualità, semplicità e tecnica, bevibilità e complessità.
In un panorama in cui il marketing rischia spesso di appiattire le differenze, questi rosati si impongono per coerenza. Sono vini che non inseguono le tendenze ma si radicano nel gesto consapevole, nella scelta precisa del produttore.
E per chi beve con attenzione, sono anche una lezione di misura.

